La trasferta toscana del sindaco non era una gita, ma il suo discorso in aula si è rivelato senza anima

8 Ottobre 2021

Difesa debole e poco convincente quella del sindaco chiamato in aula a dare spiegazioni sulla sua trasferta a Vicchio, comune di 8 mila abitanti, grande quanto il quartiere Serra Rifusa, e non lontano da Firenze. Nel suo sobborgo di Barbiana è maturata una delle esperienze civili e pedagogiche più importanti del nostro Paese, protagonista il sacerdote don Lorenzo Milani e i suoi studenti.

Sulle modalità di rimborso della trasferta toscana, pari a poco meno di 1.500 euro, sono state evidenziate tecnicamente le contestazioni in termini giuridici. Hanno chiaramente evocato profili che vanno ben oltre la censura di carattere etico. E tuttavia, per uno slancio di positiva attesa, c’è anche chi ha atteso - invano - un minimo di riflessione sulle motivazioni che hanno portato il sindaco a partecipare alla marcia per la celebrazione annuale coniugata all’esempio che richiama l’esperienzaa legata alla Scuola di Barbiana. Avrà pur detto qualcosa, si sarà espresso in qualche modo, motivando magari quali sono i punti di contatto che accomunano quella vicenda all’opera di un precursore di queste tematiche legato a Matera come Umberto Zanotti Bianco, oppure di un innovatore come Adriano Olivetti, potenti fari luminosi puntati sul futuro.

A ben vedere, non c’era chissà quale distanza tra Barbiana e i primi anni di vita del borgo La Martella, dove il discorso è andato molto oltre la scuola ed è entrato nell’organizzazione delle attività agricole, nella politica degli alloggi, nelle famiglie, auspice anche l’insegnamento dell’angelo delle periferie, Angela Zucconi.

Non era una gita quella del sindaco, ma un impegno istituzionale in rappresentanza della città. Niente. Non un comunicato, o un pensiero minimo in aula. Silenzio tombale. Eppure, uno dei temi della marcia era la legalità. Per la ragione che “se sul piano divino ci vuole la grazia, sul piano umano ci vuole l’esempio”, usava dire don Milani. E quando non è possibile dare il buon esempio non c’è niente di più umano che chiedere scusa.

Altra attesa vana, per i toni usati. Un intervento senza anima quello del sindaco che, tirando in ballo anche il suo staff, forse non si è reso conto dei riflessi negativi suscitati a valle della sua trasferta nell’opinione pubblica e in tutta la comunità. Da uno vale uno, a uno vale l’altro, è solo un attimo. Una ferita immeritata e inferta indirettamente anche a chi intende svolgere con scrupolo e passione il suo mandato in senso alla massima assemblea cittadina. Non un cenno indirizzato a chi ci crede e ha dovuto, suo malgrado, subire un immeritato imbarazzo che dura ormai da giorni e giorni.

Ma c’è chi dice e dirà no, bisogna farlo per una precisa ragione: siccome i più pensano che la politica sia una faccenda sporca, non si pensi che i problemi si possano risolvere lavandosene beatamente le mani, e quindi disertare le urne. E’ la ragione prima che mi ha indotto a evidenziare la ferma contrarietà nel modo in cui il sindaco ha cercato di eludere un problema che andava affrontato in un solo modo, netto e inequivocabile: chiedere ad alta voce scusa a tutti i materani.

Non ha inteso farlo. Ma non potrà certo eludere un’altra consapevolezza, ovvero che in ogni persona esiste un tribunale interno. E’ la voce insopprimibile di un giudice e, per dirla salendo sulle spalle di un gigante del pensiero di tutti i tempi, «egli può magari cadere in un grado tale d’abbiezione da non prestare più alcuna attenzione a questa voce, ma non può evitare di udirla».
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