Si fa presto a dire Unesco, breve elenco di ordinarie verità

image16 Dicembre 2023
Pensieri complessi, non di rado retorici per il trentennale dell’Unesco, come è stato ribattezzato. Ma tra tanta enfasi della celebrazione c’è posto per qualche riflessione prosaica? Ecco un esercizio di pensiero ordinario: in Italia, nell’anno che volge al termine, i siti iscritti ammontano a 59, mentre le candidature per nuove iscrizioni sono 31.

Insomma, l’opportunità di rientrare nel novero del patrimonio dell’umanità rischia di trasformarsi in un riconoscimento alquanto inflazionato, spesso una medaglia da esibire, per quanto, come accade da noi, vengono generalmente evase le verifiche dei Piani di gestione e di salvaguardia richiesti quali strumenti atti ad assicurare la conservazione dei siti e a creare le condizioni per la loro corretta valorizzazione.

Oltre i feticci, tralasciando i massimi sistemi, sarà il caso d’imprimere una sana pigiata all’acceleratore della disprezzata ovvietà. Domanda, facile facile: va bene, siamo patrimonio Unesco, ma si possono fare le guerre senza soldati? Quella della legge speciale 771 del 1986, varata per la rivitalizzazione dei rioni Sassi e del prospiciente altopiano murgico, si presentava come una vera e propria battaglia civile, ragione per cui riuscì a unire le forze, tra le più eterogenee, per sottrarre al degrado gli antichi rioni di tufo.

Un momento corale utile a colmare i guasti dovuti a decenni di abbandono e che individuò tra i punti di forza maggiore l’Ufficio Sassi, luogo di una pianificazione scandita da programmi biennali (solo due quelli compiutamente varati su cinque previsti), struttura per altri versi immaginata alla stregua di una fucina perennemente attiva a livello di monitoraggio e direzione delle opere di ristrutturazione, recupero e restauro. Ebbene, da 17 unità in esercizio nei primi anni di attivazione del servizio (tre in più delle 14 previste) si è precipitati a tre sole figure tecniche, due geometri e un architetto, con contratto da geometra, e due assistenti amministrativi.

A dire il vero, un minimo di ossigeno è stato possibile respirarlo dal 2017 a 2020, a valle della presenza temporanea di personale assunto in occasione della nomina di Matera capitale europea della cultura. Chiusa questa parentesi si è tornati all’antico, nell’impossibilità materiale di soddisfare gli adempimenti dell’Ufficio e il rispetto delle tempistiche che precise disposizioni normative impongono. Per il loro mancato espletamento, è chiaro, l’ente locale finisce regolarmente al tappeto, soccombe, a cominciare da un’assenza strategica, quella di un consulente legale in grado di affrontare i continui casi riconducibili a un’incredibile molteplicità di problemi giuridico-amministrativi.

Esigenza che, si comprende bene, alla luce di vicende intricate, a volte vecchie di decenni. Non possono essere scaricate sulle spalle di personale non certo nelle condizioni di redigere dettagliate memorie difensive per rappresentare l’Amministrazione nelle varie sedi di giudizio. Manca, inoltre, un dirigente ad hoc che rivesta il ruolo di posizione organizzativa a cui affidare il coordinamento delle attività dell’ufficio, nonché delegato a licenziare una serie di provvedimenti come i progetti preliminari ed esecutivi, acquisire i pareri delle soprintendenze, dei Vigili del fuoco e dell’Azienda sanitaria, attivare verifiche catastali, stipulare convenzioni e, ancora, controllare l’istruttoria completa ed effettuare i collaudi tecnici e amministrativi.

Discorsi noiosi? No, decisivi, anche perché per eseguire queste ed altre funzioni, il personale deve potersi riferire a un quadro definito del patrimonio immobiliare di proprietà pubblica e privata con il fine di garantire precise indicazioni ai cittadini e ai loro tecnici progettisti, si pensi all’aggiornamento prezzi fermo al 1995 e non allineato a quello regionale, nonché alla corretta esecuzione delle lavorazioni prescritte, procedure finalizzate a esercitare una vigilanza sugli interventi, ovviamente rigorosi e sostenibili.

Si registra inoltre un mancato processo di ricognizione, perché fermo da anni, pur prefigurando responsabilità sotto il profilo della pubblica incolumità, in quanto non mancano certo problemi di tenuta strutturale degli edifici. Non si dovrebbe rincorrere l’emergenza, ma prevenire gli eventi a livello praticamente molecolare, così da evitare un pericoloso decadimento della qualità del recupero e le violazioni palesi, tra le più varie e spesso penose, come quelle legate alla disciplina dell’arredo urbano, per non dire delle conseguenze dovute all’assenza di un piano del commercio.

Le questioni aperte sono ancora molteplici. Per non entrare troppo nel dettaglio, a dir poco ingarbugliato risulta l’iter procedurale riguardante le sub-concessioni di proprietà dello Stato, mancano indirizzi aggiornati per la corresponsione dei canoni di locazione. Non esiste un quadro delle variazioni catastali e senza una banca dati accessibile diventa quasi impossibile espletare i bandi pubblici, anche per la ragione che non è sempre nota la reale consistenza del patrimonio, i titoli di proprietà, manca un puntuale censimento e, pertanto, diventa complicata finanche la liberazione di locali occupati abusivamente.

Se si rimane ad alta quota, nel vasto empireo dei buoni propositi, sarà difficile ripiegarsi su questioni meno auliche, ma decisive, al pari delle mancate stipule con l’Agenzia del demanio e con l’Agenzia del territorio per la concessione al Comune di Matera di una serie di immobili demaniali mai trasferiti e alla difficoltà permanente da parte dei cittadini di accedere agli atti pubblici. L’esigua pattuglia di dipendenti dell’Ufficio non è dotata di poteri soprannaturali e se non arriveranno rinforzi qualificati le discussioni e i convegni potranno continuare all’infinito, ma i problemi rimarranno desolatamente in piedi, oggi come ieri.

Ecco perché si fa presto a dire Unesco, ma poi le attività legate alla gestione del sito materano a che punto sono, in termini di redazione del nuovo Piano di gestione? Forse non è abbastanza chiaro, il precedente Piano è decaduto nel 2019. Con tanti saluti alla continuità di rapporti con il Centro per il patrimonio mondiale Unesco di Parigi, con il ministero della Cultura (Ufficio Unesco e conseguenti misure speciali contemplate dalle legge numero 77/2006 a favore dei beni tutelati), e non ultimo, con l’Associazione beni italiani Patrimonio dell’umanità di cui, nell’oblio della memoria più assoluto, la città di Matera è uno dei soci fondatori.

Tutto perso? Non c’è più niente da fare, è stato bello sognare?
La risposta secca di quanti riescono ancora a superare le miserie di divisioni interessate e di parte, è un no secco, “spes contra spem”, farsi speranza per continuare a dare speranza e tornare al desiderio di città che ci appartiene, da sempre.

Pasquale Doria
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